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Ma che storie son queste? |
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La
Città delle Mollette |
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Il
signor Cocciapelata |
Il
Fantasma e la Bambina
(Scuola Elementare S. Venanzio di Galliera - 2002) guarda l'album con la storia |
Questo lavoro si propone di impiegare la composizione e la narrazione improvvisata di storie come elemento di partenza per mettere in contatto fra loro gli elementi immaginari -e quindi simbolici- degli alunni dei vari gruppi classe, con l'obiettivo di compiere una sorta di esplorazione guidata alla conoscenza reciproca delle rispettive ansie, aspettative, aperture, date dalla situazione di interculturalità caratteristica dell'intero plesso scolastico.
Comporre narrazioni animate sempre più complesse, studiando parallelamente dal punto di vista fenomenologico le differenze e i possibili paradossi del linguaggio verbale e dei linguaggi non verbali, fornisce un mezzo -ampiamente sottoutilizzato sia dai bambini che dagli adulti- per esprimere in forme libere da costrizioni formali quello che normalmente non si è capaci di dire, o non si vuole, o non si può, o del quale forse non si sospetta consapevolmente l'esistenza.
In tal senso anche la raccolta di oggetti da mettere in una scatola, allo scopo di utilizzarli come personaggi, o pretesti, o accessori delle storie che si andranno a comporre insieme, ha già di per sé una valenza di messaggio. Sia ben chiaro, non c'è neanche lontanamente il pensiero di mettersi a psicoanalizzare una piccola raccolta di oggetti: c'è piuttosto la volontà di osservare ed ascoltare i possibili segnali che vengono dall'interazione con i bambini e dare ad essi almeno un tentativo di risposta, che equivale se non altro a riconoscere a questi segnali il diritto di cittadinanza.
Non vi è pretesa da parte di nessuno di dare la risposta "giusta" a un qualche cosa che ha come tratto comune il fatto di scaturire da una situazione totalmente nuova per tutti, compresa credo la maggioranza delle insegnanti, situazione a suo tempo generata da pesanti stati di necessità e non certo da improvvise velleità turistiche delle famiglie immigrate.
Improvvisare storie e magari metterle in scena, e poi disegnarle, elaborare diversi possibili finali, smontarne e rimontarne tutta la struttura costituisce la possibilità di elaborare e riflettere su quello che i bambini hanno di fronte nel loro quotidiano, di vedere questo stesso quotidiano da un punto di vista altro; significa aiutarli a decidere liberamente quali e quante aperture mantenere di fronte a questa alterità.
E' tutt'altro che raro assistere a momenti di creazione poetica, anche nei bambini in età prescolare. Attività strutturate dedicate a questo gioco sono assai rare, in famiglia come altrove, e tuttavia, a dispetto delle situazioni sfavorevoli alla sua stessa presenza questa propensione alla creatività si forma ugualmente nella mente dei bambini, costituendo una di quelle "zone nascoste" che solo in tempi molto posteriori -e comunque molto raramente- vengono allo scoperto.
Eppure queste zone sono per l'essere umano un'imprescindibile necessità, l'indispensabile palestra all'interno della quale elaborare le individuali possibilità di utilizzo e comprensione dei linguaggi verbali e non verbali.
E questo non tanto allo scopo di diventare tutti poeti, ma a quello -un tantino più prosaico ma non meno necessario- di sopravvivere all'interno della generale complessità che caratterizza ogni attività umana: insomma di capire come funziona il mondo e di avventurarcisi senza farsi troppo male.Nella maggioranza dei casi queste zone subiscono con la crescita una sorta di atrofia, o di assopimento, o di contrazione, e solo con molto lavoro e molti sforzi si riesce a stanarle, come fossero animali riottosi e poco socievoli, a cui il contatto diretto con l'esterno risulta sgradito. E non si può negare che -con ottime ragioni- almeno in parte lo siano.
Per un bambino della scuola materna l'immaginario costituisce uno strumento essenziale di questa attività di comprensione della realtà, ed è proprio grazie alla labilità del confine fra reale e immaginario che si può inventare assieme una storia, che senza parlare esplicitamente di extracomunitari (e dei loro figli) racconta però di un protagonista che ha paura ad uscire di casa perché fuori c'è qualcosa che fa paura, o di una città dove abitano solo mollette da bucato tutte perfettamente uguali e tutte tanto infelici nel loro totale livellamento, e a trovare insieme quelle parole, quelle azioni, che portino l'inquilino pauroso a far merenda con il mostro del giardino, e le mollette a dipingersi i vestiti addosso, darsi un nome e andare a conoscere chi abita nelle città vicine.
E' un gioco bellissimo, a cui tutti giocano volentieri mettendo nel calderone della storia da inventare gli oggetti simbolici dei loro affetti, desideri, o anche delle loro paure: allora un gattino nero viene chiamato Buio (Elvis, di quattro anni, il suo gatto l'aveva chiamato così), ed Eleonora di cinque anni racconta che il fuoco del caminetto balla coi salti azzurri.
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